venerdì 27 febbraio 2015

Segnalo da: http://ilmiosguardolibero-salerno.blogautore.repubblica.it/2015/02/27/la-deriva-individualista-del-precariato/

Il mio sguardo libero
di Marcello Ravveduto 
La dannazione del precario

Cosa ci racconta la campagna dei selfie organizzata dagli avvocati a rischio di cancellazione dall’albo? Il precariato non solo ha sbranato il lavoro dipendente ma sta erodendo pezzi consistenti delle professioni liberali che hanno rappresentato a lungo l’ossatura della borghesia nazionale e in particolare quella meridionale.

Una laurea in Giurisprudenza non si nega a nessuno. Stendiamo, invece, un velo pietoso sulle pratiche clientelari e i raggiri sistematicamente perpetrati durante gli esami di Stato, ovviamente a danno dei meritevoli privi di autorevoli “appoggi”. Perché ci si iscrive al corso di laurea in Giurisprudenza? Appena entrato lo studente è sicuro che il suo futuro sarà sulla cattedra di un Tribunale, magari sognando di sostenere la pubblica accusa in un processo in cui corruzione, malaffare, mafie e massonerie si intrecciano. Affrontando, però, i primi irti scogli il cammino dello studente rallenta e muta prospettiva: si pensa alla laurea per tentare qualche concorso nella Pubblica amministrazione (stracolma, peraltro, di avvocati mancati). Del resto la famiglia ha caldeggiato l’iscrizione a “Legge” perché con quella laurea si può accedere a tutti i concorsi pubblici: questo la dice lunga sulla mentalità dell’italiano medio che prima ancora di pensare alla libera professione si assicura una possibile via d’uscita verso il posto fisso statale. Alla fine, dopo qualche bocciatura, le immancabili distrazioni e un po’ di sano divertimento, non rimane che accettare, come unica soluzione praticabile, l’avvocatura. Eccolo lì l’esercito di freschi legali, non più giovanissimi, pronto a gettarsi nella mischia delle giudiziarie, affollate da colleghi altrettanto precari, barcamenandosi, in attesa del solito rinvio, tra risarcimenti di danni fisici, incidenti d’auto, ricorsi amministrativi, consumatori arrabbiati e clienti insolventi. Qualcuno, tanto per cominciare, si butta sul patrocinio d’ufficio nella speranza che prima o poi lo Stato paghi la parcella. Nel frattempo le spese aumentano, i fitti si accumulano, le utenze consumano e i contributi si evadono. Si impantanano in una vita piena di possibili svolte e di delusioni crescenti. Sia chiaro, i professionisti di cui sto parlando non godono del privilegio di avere un genitore avvocato con uno studio avviato che, prima o poi, erediteranno con tutto il pacchetto di clienti e di proprietà immobiliari.

Perché il movimento degli legali precari è rimasto confinato all’interno del mondo dell’avvocatura? Il motivo è lo stesso che impedisce ai pecari dell’università, della scuola, della Pubblica amministrazione, del terziario e dell’industria di costruire un meccanismo di solidarietà trasversale intorno alle loro battaglie. Qual è il motivo? L’assenza di una coscienza di classe capace di mobilitare la nazione intera sul problema del precariato. Ognuno rimane chiuso nel suo mondo confermando l’intuizione della Thatcher: non esiste la società ma solo individui. Siamo bloccati in un sistema di corporazioni a compartimenti stagni, all’interno delle quali si sono formate due caste: quella di chi sta bene e se la gode e quella di chi arranca maledicendo il giorno in cui si è nati. Fin quando l’avvocato precario non si unirà all’operaio precario e questi agli insegnati precari e tutti insieme ai ricercatori, agli artigiani, agli impiegati, ai medici, ai commessi precari (e chi più ne ha più ne metta) il cerchio della marginalità sociale e delle nuove povertà non potrà essere spezzato. La questione da porsi è: quali saranno i costi sociali e civili (quelli economici già si vedono) che in futuro pagherà il paese? Almeno due generazioni sono state bruciate dall’incapacità di chi ha governato di costruire percorsi di stabilizzazione (che sono altra cosa rispetto alle tutele crescenti). Cosa accadrà quando questi precari non avvarranno più la forza di lavorare? Chi li sosterrà, visto che non avranno la pensione, quando saranno anziani e stanchi? Siamo davvero così cinici da far pagare gli errori dei nonni ai nipoti? Gli avvocati hanno, per quel che vale, tutta la mia solidarietà e sono pronto ad aderire alla loro contestazione glamour. Ma mi domando e domando loro: quando gli altri precari saranno in piazza per reclamare i loro diritti saranno disposti a rinunciare ad un paio di udienze per stare accanto ai loro simili, nonostante le diverse esigenze professionali?