sabato 9 febbraio 2013

Dibattiti 13 / La politica e la cultura: una distanza ormai abissale

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 di Beatrice Benocci

Libro orologio studiare, leggereChe cos’è la cultura se non conoscenza. Un cittadino che conosce è una risorsa per lo Stato, poiché è in grado di comprendere, scegliere e quindi svolgere quel ruolo sussidiario di cittadinanza attiva che risulta necessario quando la politica perde di vista le priorità fondamentali del vivere comune.
In Italia sembra verificarsi costantemente il contrario. La politica sembra ritenere inesorabilmente i cittadini incapaci di comprendere e quindi di scegliere, così non si attiva per dare loro gli strumenti della conoscenza. Quali sono le priorità del nostro vivere contemporaneo? Le risorse energetiche, la salvaguardia del territorio, inteso come terreno fertile (qui discendono importanti questioni come la lotta alla fame e alla malnutrizione), la lotta ai cambiamenti climatici, l’innovazione, intesa come strumento di aiuto al genere umano e non di ulteriore inquinamento e quindi di danno alla salute pubblica, la tutela del patrimonio ambientale, del patrimonio storico-artistico (se non è questa cultura!), la salvaguardia della salute dei cittadini e quindi la tutela del sistema sanitario nazionale.

E potremmo proseguire. Entrando ora nello specifico italiano e ascoltando i politici in questa campagna elettorale apprendiamo che l’Italia ha bisogno di moralità e lavoro, condono fiscale e condono tombale, riduzione progressiva dell’IMU, reddito di cittadinanza, lotta alla criminalità, riduzione dei compensi dei parlamentari, riforma della giustizia, legge sul conflitto di interesse etc etc. Slogan efficaci ma che non ci dicono di cosa ha bisogno il nostro Paese, non consegnano ai cittadini un progetto di largo respiro, una linea di condotta per il futuro. C’è chi parla, in questa campagna elettorale, della necessità di avere una visione; più che di una visione necessitiamo di un progetto Paese che parta dalle nostre competenze e guardi al modo di inserirci nel sistema economico internazionale.
Cosa rende l’Italia unica per chi non è italiano? Il nostro artigianato, le nostre bellezze storico-artistiche, il paesaggio, la nostra cultura, le nostre tradizioni, la nostra cucina. Quindi dobbiamo investire in ciò che ci rende unici. Lo facciamo? No. Non sosteniamo la scuola, l’università, la ricerca. Ancora oggi gli italiani non parlano inglese! Non proteggiamo il nostro territorio: basti pensare al disastro delle aree parco in Campania, ormai lasciate a se stesse, senza competenze e senza finanziamenti. Non valorizziamo il turismo, né tantomeno l’ecoturismo. Non salvaguardiamo l’agricoltura (il nostro Settore Primario): abbiamo prodotti certificati, garantiti e tipici apprezzati in tutto il mondo, ma non conosciuti in Italia. Siamo conosciuti in tutto il mondo per la Dieta Mediterranea, ma non siamo in grado di rendere questo patrimonio uno stile di vita per gli italiani. Abbiamo un patrimonio edilizio da valorizzare e recuperare, ma i nostri politici ci parlano delle new town quali strumenti della ripresa economica; ma le new town non sono altro che luoghi senza storia e senza servizi in cui nessuno vorrebbe vivere. Questa politica ha una visione corta, cortissima, spesso pensa che la costruzione di nuove case sia uno strumento di ripresa dell’economia, senza capire che solo la ristrutturazione del patrimonio edilizio comporta vantaggi enormi per i cittadini, consentendo il recupero di competenze ormai perse nel settore edile, la rivalutazione dei centri storici e la salvaguardia del nostro territorio. E ancora, abbiamo bisogno di ripensare alla gestione dei nostri siti archeologici, storici e artistici, poiché non possiamo continuare a vergognarci dello stato in cui versano. E penso al Colosseo o agli scavi di Pompei. Abbiamo bisogno di un management serio e responsabile, in grado di trasformare questi luoghi in strutture di eccellenza ed economicamente autosufficienti. Luoghi dove tornare e non da cui scappare. E infine ampio spazio alle idee, alla cosiddetta innovazione, da cui oggi nessun paese può prescindere. Tutto questo è lavoro.
E infatti il tema centrale di questa campagna elettorale è il lavoro, a cui la politica ancora non sa dare una risposta seria e ragionata. Il lavoro è per tutti un tema centrale, ma non si risolve se non partendo dalle caratteristiche proprie di un paese. La nostra storia ce lo insegna: creare industria laddove non c’è una vocazione industriale (dove non ci sono capitali, risorse e infrastrutture) è pura utopia. Quindi il lavoro nasce dalle vocazioni di un paese e il nostro, sicuramente, di vocazioni ne ha tante, peccato che questa politica non guardi al di là del proprio naso e del proprio condominio. E in questo la politica non ha cultura.