Questa è la lettera di risposta che Lelio Basso scrisse all’allora ministro della Difesa Arnaldo Forlani che decise di sospendere la parata militare del 2 giugno 1976 dopo il terremoto che sconvolse il Friuli.
Sono personalmente grato al ministro Forlani per avere deciso la
sospensione della parata militare del 2 giugno, e naturalmente mi auguro
che la sospensione diventi una soppressione. Non avevo mai capito,
infatti, perché si dovesse celebrare la festa nazionale del 2 giugno con
una parata militare. Che lo si facesse per la festa nazionale del 4
novembre aveva ancora un senso: il 4 novembre era la data di una
battaglia che aveva chiuso vittoriosamente la prima guerra mondiale. Ma
il 2 giugno fu una vittoria politica, la vittoria della coscienza civile
e democratica del popolo sulle forze monarchiche e sui loro alleati: il
clericalismo, il fascismo, la classe privilegiata. Perché avrebbe
dovuto il popolo riconoscersi in quella sfilata di uomini armati e di
mezzi militari che non avevano nulla di popolare e costituivano anzi un
corpo separato, in netta contrapposizione con lo spirito della
democrazia?
Una repubblica in primo luogo.
E invece quel tentativo di rinverdire
glorie militari che sarebbe difficile trovare nel passato, quel
risuonare di armi sulle strade di Roma che avevano appena cessato di
essere imperiali, quell’omaggio reso dalle autorità civili della
repubblica alle forze armate, ci ripiombava in pieno nel clima della
monarchia, quando il re era il comandante supremo delle forze armate,
“primo maresciallo dell’impero”. Le monarchie, e anche quella italiana,
eran nate da un cenno feudale e la loro storia era sempre stata commista
alla storia degli eserciti: non a caso i re d’Italia si eran sempre
riservati il diritto di scegliere personalmente i ministri militari,
anziché lasciarli scegliere, come gli altri, dal presidente del
consiglio. Ma che aveva da fare tutto questo con una repubblica che,
all’art. 11 della sua costituzione, dichiarava di ripudiare la guerra
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali?
Tradizionalmente le forze armate avevano avuto due compiti: uno di conquista verso l’esterno e uno di
repressione all’interno, e ambedue sembravano incompatibili con la nuova
costituzione repubblicana.
Repubblica democratica in secondo luogo.
In
una democrazia sono le forze armate che devono prestare ossequio alle
autorità civili, e, prima ancora, devono, come dice l’art. 52 della
costituzione, uniformarsi allo spirito democratico della costituzione.
Ma in questa direzione non si è fatto nulla e le forze armate hanno
mantenuto lo spirito caratteristico del passato, il carattere
autoritario e antidemocratico dei corpi separati, sono rimaste
nettamente al di fuori della costituzione. I nostri governanti hanno
favorito questa situazione spingendo ai vertici della carriera elementi
fascisti, come il gen. De Lorenzo, ex-comandante dei carabinieri,
ex-capo dei servizi segreti ed ex-capo di stato maggiore, e, infine,
deputato fascista; come l’ammiraglio Birindelli, già assurto a un
comando Nato e poi diventato anche lui deputato fascista; come il generale Miceli, ex-capo dei servizi segreti e ora candidato fascista alla Camera. Tutti, evidentemente, traditori
del giuramento di fedeltà alla costituzione che bandisce il fascismo,
eppure erano costoro, come supreme gerarchie delle forze armate, che
avrebbero dovuto incarnare la repubblica agli occhi del popolo, sfilando
alla testa delle loro truppe, nel giorno che avrebbe dovuto celebrare
la vittoria della repubblica sulla monarchia e sul fascismo. E già che
ho nominato De Lorenzo e Miceli, entrambi incriminati per reati gravi, e
uno anche finito in prigione, che dire della ormai lunga lista di
generali che sono stati o sono ospiti delle nostre carceri per reati
infamanti? Quale prestigio può avere un esercito che ha questi
comandanti? E quale lustro ne deriva a una nazione che li sceglie a
proprio simbolo?
Infine, non dimentichiamolo, questa repubblica
democratica è fondata sul lavoro. Va bene che, nella realtà delle cose,
anche quest’articolo della costituzione non ha trovato una vera
applicazione. Ma forse proprio per questo non sarebbe più opportuno che lo si esaltasse almeno
simbolicamente, che a celebrare la vittoria civile del 2 giugno si
chiamassero le forze disarmate del lavoro che sono per definizione forze
di pace, forze di progresso, le forze su cui dovrà inevitabilmente
fondarsi la ricostruzione di una società e di uno stato che la classe di
governo, anche con la complicità di molti comandanti delle forze
armate, ha gettato nel precipizio?
Vorrei che questo mio invito fosse
raccolto da tutte le forze politiche democratiche, proprio come un segno
distintivo dell’attaccamento alla democrazia. E vorrei terminare ancora
una volta, anche se non sono Catone, con un deinde censeo: censeo che
il reato di vilipendio delle forze armate (come tutti i reati di
vilipendio) è inammissibile in una repubblica democratica.
Lelio Basso