Da: http://ilmiosguardolibero-salerno.blogautore.repubblica.it/2015/02/13/lipocrisia-del-progresso-arretrato/
È la prima volta che racconto in pubblico questo evento (una specie di outing) con l’obiettivo di giungere, partendo dal particolare, ad una considerazione generale: Salerno è una città dai connotati europei che non ha potuto sviluppare appieno le sue potenzialità perché chi l’amministra si muove seguendo la logica del continuismo, celata dietro la retorica del nuovismo. Basti vedere come agisce la classe dirigente cittadina (tutta salotti e parentele), quali business promuove, quali investimenti realizza e come si innesta nella rete affaristica per comprendere quanto ancora oggi sia forte la catena di comando determinata dall’intreccio tra rendita fondiaria, settore edile e rappresentanza politica. Anche la neo-borghesia degli anni Ottanta, terminato lo slancio modernista “dall’aria vagamente socialista”, è stata cooptata all’interno del sistema familiare/clientelare che tutto assorbe. Il continuismo si può spezzare solo modificando radicalmente la configurazione economica della città. Salerno può partecipare alla competizione globale attirando sul territorio, con agevolazioni fiscali, imprese vocate alla creazione di infrastrutture immateriali che trasformerebbero l’ambiente urbano in un ecosistema a basso impatto ambientale e ad alto impatto tecnologico: meno cemento e più informatica (del resto si tratta di un'eccellenza della nostra Università). Non abbiamo bisogno di altre case e di altre opere colossali, sarebbe già sufficiente manutenere e ristrutturare, di tanto in tanto, il patrimonio esistente. Abbiamo bisogno, al contrario, di un pensiero lungo che sappia cogliere le trasformazioni sociali dell’avvenire. Ai comitati, ai movimenti, alle associazioni in fermento suggerisco di unirsi e promuovere, entrando nelle scuole, nei quartieri e perfino nei condomini, una campagna di ascolto sul futuro della città e presentarne i risultati ai salernitani. Che volto avrà il capoluogo nel 2050? Quale ruolo avranno i giovani e quale gli anziani? Come sarà distribuita la ricchezza? Quali infrastrutture lo caratterizzeranno? Che incidenza avranno i migranti sulla produzione della ricchezza? Intorno a quale settore ruoterà lo sviluppo? Quale sarà la missione dell’ente locale? Per vedere il futuro bisogna avvicinare l’orizzonte con un effetto ottico che solo la prospettiva glocale può dare. In caso contrario non ci rimarrà altro che discutere dei debiti accumulati, dei mostri costruiti, delle clientele sfrenate e delle collocazioni di figli e nipoti, nel frattempo la città sarà affondata in un mare di ipocrisia.
L'ipocrisia del progresso arretrato
di Marcello Ravveduto
Nel 1997 un gruppo di ragazzi, poco più che ventenni, coniò, per la
campagna elettorale comunale a sostegno dell’allora segretario
provinciale della Sinistra giovanile, lo slogan “Salerno, città giovane
d’Europa”. Un’allegra brigata, nella quale c’era anche il sottoscritto,
che con coraggio e abilità riuscì ad eleggere il proprio “concorrente”.
Nel 2001 lo stesso gruppo ritenne che sarebbe stato giusto fa continuare
a chi scrive l’esperienza in Consiglio comunale per rappresentare la
minoranza dei Democratici di Sinistra. In apparenza vi sembrerà un bieco
scontro tra correnti, invece era il tentativo di difendere il
pluralismo interno ad un partito schiacciato su logiche padronali,
divenute irresistibili dopo la costituzione del Pd.
Il sindaco aveva
designato come suo successore il capo staff e qualcuno pensava che si
fossero create le condizioni per dare spazio a chi, pur dello stesso
partito, aveva un’idea di città diversa, partecipata e partecipante. La
candidatura fu bloccata quarantotto ore prima della presentazione delle
liste con un veto proveniente direttamente dal sindaco emerito di allora
(lo stesso di oggi). Non si poteva candidare un cosiddetto “quadro” di
partito che aveva una visione divergente sulle priorità del governo
locale, sostenuto, tra l’altro, da un’organizzazione giovanile cresciuta
con il culto della libertà di pensiero. Così, dopo un lungo tira e
molla, mi ritrovai fuori dalla competizione. In realtà, non avevo mai
veramente creduto alla possibilità di essere candidato, ma le modalità
con cui il Politburo impose la decisione mi insegnarono che l’autonomia
politica e civile è una conquista faticosa. Da un parte ti costringe
all’isolamento minoritario, dall’altra, però, ti rende cosciente delle
responsabilità da assumere in conseguenza di una volontaria scelta
critica e anticonformista. Lo slogan che avrebbe caratterizzato la
campagna elettorale sarebbe stato lo stesso del 1997: “Salerno, città
giovane d’Europa”. Se avessimo registrato il marchio forse oggi avremmo
potuto reclamare i diritti d’autore, si scherza.
È la prima volta che racconto in pubblico questo evento (una specie di outing) con l’obiettivo di giungere, partendo dal particolare, ad una considerazione generale: Salerno è una città dai connotati europei che non ha potuto sviluppare appieno le sue potenzialità perché chi l’amministra si muove seguendo la logica del continuismo, celata dietro la retorica del nuovismo. Basti vedere come agisce la classe dirigente cittadina (tutta salotti e parentele), quali business promuove, quali investimenti realizza e come si innesta nella rete affaristica per comprendere quanto ancora oggi sia forte la catena di comando determinata dall’intreccio tra rendita fondiaria, settore edile e rappresentanza politica. Anche la neo-borghesia degli anni Ottanta, terminato lo slancio modernista “dall’aria vagamente socialista”, è stata cooptata all’interno del sistema familiare/clientelare che tutto assorbe. Il continuismo si può spezzare solo modificando radicalmente la configurazione economica della città. Salerno può partecipare alla competizione globale attirando sul territorio, con agevolazioni fiscali, imprese vocate alla creazione di infrastrutture immateriali che trasformerebbero l’ambiente urbano in un ecosistema a basso impatto ambientale e ad alto impatto tecnologico: meno cemento e più informatica (del resto si tratta di un'eccellenza della nostra Università). Non abbiamo bisogno di altre case e di altre opere colossali, sarebbe già sufficiente manutenere e ristrutturare, di tanto in tanto, il patrimonio esistente. Abbiamo bisogno, al contrario, di un pensiero lungo che sappia cogliere le trasformazioni sociali dell’avvenire. Ai comitati, ai movimenti, alle associazioni in fermento suggerisco di unirsi e promuovere, entrando nelle scuole, nei quartieri e perfino nei condomini, una campagna di ascolto sul futuro della città e presentarne i risultati ai salernitani. Che volto avrà il capoluogo nel 2050? Quale ruolo avranno i giovani e quale gli anziani? Come sarà distribuita la ricchezza? Quali infrastrutture lo caratterizzeranno? Che incidenza avranno i migranti sulla produzione della ricchezza? Intorno a quale settore ruoterà lo sviluppo? Quale sarà la missione dell’ente locale? Per vedere il futuro bisogna avvicinare l’orizzonte con un effetto ottico che solo la prospettiva glocale può dare. In caso contrario non ci rimarrà altro che discutere dei debiti accumulati, dei mostri costruiti, delle clientele sfrenate e delle collocazioni di figli e nipoti, nel frattempo la città sarà affondata in un mare di ipocrisia.