Massimo Gramellini – L’ultimo treno
Per la serie “senza ritegno”
Come Bertoldo che non riusciva mai a trovare l’albero a cui impiccarsi, il
Senato ha rinviato a martedì il voto di fiducia sul decreto che taglia i
costi della politica, a causa di uno sciopero dei treni.
Sono
venuto a capo per consentirvi di smaltire l’incredulità. Martedì cosa
si inventeranno, un’indigestione di cozze collettiva? Oltretutto pare
che la storia dello sciopero sia una scusa raffazzonata lì per lì, pur
di nascondere i dissidi interni ai partiti e giustificare la più
politica di tutte le arti: il rinvio. Ma come fanno a non capire che
qualunque verità risulterebbe meno fastidiosa di quella penosa bugia? Un
Paese dove un operaio scompare in mare durante la bufera cadendo da una
gru su cui non doveva nemmeno stare, e dove una barista pendolare muore
di stanchezza alla fermata della metro dopo essersi alzata per
l’ennesima volta di domenica alle quattro del mattino, ecco, un
Paese così serio e duramente provato pretende di non essere offeso
dagli sfoggi di tracotanza di coloro che dovrebbero fornire il buon
esempio. Questa era davvero l’ultima occasione per un colpo
d’ala. Immaginate il presidente dell’assemblea Schifani che annuncia
alle telecamere: «Abbiamo deciso all’unanimità di restare a Roma nel
weekend per votare una legge tanto attesa dall’opinione pubblica. Il
Senato rimane aperto sabato e domenica. Invito i cittadini ad assistere
dai palchi al nostro lavoro». Non dico che si sarebbero guadagnati la
rielezione, ma uno sconto del venti per cento sulle pernacchie sì. Così
invece niente, neanche la mancia.